
Buttafuoco Gravel 2025
Buttafuoco 2025. Terza tappa del Brevetto Gravel, e già nel nome sai che sarà dura. Quando ho visto la data fissata da Orio Bike, ho subito pensato: “speriamo tenga il meteo”. Perché chi pedala con un minimo di cuore lo sa che l’Oltrepò Pavese, col cielo grigio, diventa un’altra cosa. Ma stavolta il cielo ha regalato — dopo un primo rinvio — una giornata perfetta: blu come l’inchiostro, aria ferma e temperatura giusta fin dalla partenza, che manco servivano le maniche.
La base di partenza era già poesia: la sede del Consorzio Club del Buttafuoco Storico. Nome importante, atmosfera calda e accogliente. Caffè, sorrisi, e tre percorsi per tutti i gusti e le gambe: 33, 68 e 81 km, con dislivelli rispettivamente da 650, 1150 e 1650 metri.
Io, acciughino, non mi vergogno a dire che ho scelto il corto. 600 e rotti metri di dislivello bastano e avanzano, soprattutto quando sono spalmati su quattro salite vere, di quelle che se non stai attento ti strappano via anche la voglia di respirare. Quattro discese a compensare, alcune tecniche, altre che ti facevano urlare dentro al casco dalla gioia.
I tratti non pedalabili? Pochissimi. Tutto il resto, una meraviglia. I momenti migliori arrivavano quando le gambe trovavano un po’ di tregua e potevi finalmente alzare lo sguardo: le colline dell’Oltrepò, le vigne stese come tappeti verdi sulle creste, le strade bianche infilate tra i filari. Ogni metro sudato valeva la pena, ogni goccia di fatica era bilanciata dallo spettacolo che ti si apriva davanti.
A dire il vero, questa Buttafuoco doveva essere anche l’occasione perfetta per testare la modalità “follow me” del nuovo drone. Sognavo riprese epiche, tipo ciclista solitario che si arrampica sulle curve polverose con i colli sullo sfondo. E invece no. Il drone, con il tempismo e l’intelligenza che spesso accompagna le prime uscite, ha pensato bene di accarezzare una foglia — sì, una foglia — al primo albero e spegnersi definitivamente. Fine della carriera, fine dei sogni. Ammetto che una parte del piacere del giro è stata oscurata dal dispiacere: quei panorami lì, così belli, meritavano di essere portati a casa, almeno in qualche fotogramma. Invece mi sono dovuto accontentare della memoria e di qualche scatto mosso col telefono.
La prima volta che ho fatto la Buttafuoco pensavo ingenuamente che il nome fosse una minaccia, un richiamo epico alla crudeltà delle salite. In realtà — ignoranza mia — è il nome di un vino storico del territorio, robusto e profondo. Ma vi dirò: il nome è perfetto anche per il giro. Perché le salite bruciano, consumano, e il sapore che ti lasciano in bocca a fine giro è un misto di fatica e piacere, come certi rossi che non bevi in fretta.
Alla fine, se c’è una cosa che mi è mancata davvero non è stato il fiato. Non sono stati i polpacci. Sono stati quei due, tre denti in più sul pignone posteriore. Sì, proprio quelli. Quei benedetti rapporti che quando ti trovi a salire guardando il manubrio per non vedere quanto manca, ti dici “e se avessi avuto ancora un paio di denti…”.
E allora, Buttafuoco 2025, mi hai fatto male e mi hai fatto bene.
Ci vediamo alla prossima. Con qualche dente in più — e un drone in meno.
Ringraziamo il nostro ACCIUGHINO per il suo racconto.